Aggiornamento di Marzo 2024:

In occasione dell’ 8 Marzo, ripubblichiamo un articolo scritto due anni fa da una nostra collega Valentina Marrone, che nonostante il tempo trascorso, rimane sorprendentemente attuale. Come ogni anno, in questo periodo, proviamo a sfruttare l’attenzione mediatica su determinate giornate per incentivare, accendere il dibattito su temi dall’enorme rilevanza sociale. L’articolo esplora temi cruciali sul ruolo della donna nel settore agricolo, evidenziando prospettive e sfide ancora rilevanti oggi attraverso le testimianze dirette di agricoltrici parte della famiglia Biorfarm. L’obiettivo dichiarato, come allora, resta quello di sostenere e diffondere le battaglie silenziose delle agricoltrici italiane in un contesto ancora permeato da discriminazioni, riaffermando l’importanza di un dibattito vivo e concreto sulla parità di genere non solo nella vita quotidiana, ma in ogni contesto sociale e professionale. Buona Lettura Il team Biorfarm

Cosa vuol dire “ Agricoltrice ”?

Ascoltando la parola, tutti ne comprendiamo il significato, ma in verità non esiste o è descritta come poco comune. La parola nascosta nel campo, un simbolo di discriminazione linguistica nell’agricoltura Italiana:


Si può usare la parola “ agricoltrice ”, oppure dobbiamo usare “ agricoltore donna ”?

Agricoltrice: sul Treccani non esiste. Accademia della crusca? Niente. Persino il T9 del cellulare me lo corregge. In alcuni vocabolari online trovo: “agricoltrice – sostantivo femminile di agricoltore”.
Lo stesso discorso vale anche per la parola ingegnera, assessora, architetta, agronoma, potremmo continuare l’elenco a lungo… Sono tutti sostantivi femminili di professioni o cariche che fino a pochi decenni fa erano riservate solo agli uomini. Sebbene, fortunatamente, la presenza femminile in questi ambiti si stia consolidando, l’evoluzione linguistica non ha seguito di pari passo questo cambiamento. O forse è semplicemente in procinto di farlo. Di conseguenza, essendo l’ideale di queste professioni consolidato con il genere (e quindi il sostantivo) maschile, l’esigenza di traslare questi nomi al femminile porta ancora dubbi e incertezze sul termine corretto da utilizzare.
Eppure la professione dell’agricoltrice esiste da millenni. Anche se il termine più adatto per definire il lavoro delle nostre nonne, e ancora prima, sarebbe “contadina”. Contadina esiste, imprenditrice agricola anche, agricoltrice no. Cosa ci siamo persi in questo passaggio?

Quando mi rivolgo a qualcuno per lavoro, usando il termine agricoltrice… sento spesso l’interlocutore stranirsi, a volte correggermi cortesemente rivolgendosi alla terza persona femminile sempre con il termine agricoltore, es. l’agricoltore Stefania, o a volte la signora Stefania, raramente l’imprenditrice agricola Stefania.

E perché invece la parola imprenditrice agricola è usata? Forse perché siamo più abituati alle donne manager, alle imprenditrici che in ogni ambito sono sempre più presenti nel nostro Paese…?!
C’è da dire però che nel linguaggio quotidiano di questo settore non si usa molto la parola “imprenditore/imprenditrice agricolo/a”: è un termine riservato maggiormente alle occasioni istituzionali, o semplicemente formali. Parlando al maschile, nella quotidianità il termine più utilizzato è agricoltore.

 

Le testimonianze dal campo: le domande alle dirette interessate.

E quindi mi chiedo… Mi faccio forse dei problemi inutili? Sarebbe importante che la parola “agricoltrice” esistesse? Ci serve questa parola?
Ed in campo? Viene usato questo termine? Come vengono chiamate in campagna le “agricoltrici”? E come si chiamano tra loro?

 

Ilaria Campisi: “ Sono un’agricola ”

Ilaria Campisi, è la classica persona, ricca di valori e di contenuti di cui è impossibile non innamorarsi.
La conosciamo bene, perchè è stata lei a cercarci e dopo una brevissima chiacchierata eravamo già presi l’uno dall’altro e dalla simbiosi delle nostre storie e dei nostri valori.
Ilaria gestisce l’azienda Campisi che ha più di un secolo, da più di 20 anni. Nel 2001 decide di tornare a casa da Firenze con l’obiettivo di recuperare e valorizzare i terreni di famiglia ormai ridotti in stato di abbandono.
Sin sa subito s’intravede lo spirito ed i valori alla base del pensiero di Ilaria.
Negli interventi di recupero e di ripristino cerca di preservare le cultivar storiche che erano sopravvissute, conservandole per le loro peculiarità varietali, paesaggistiche, storiche ed ambientali. Cultivar antiche che stavano ormai scomparendo, perché nelle aziende circostanti si era diffusa la tendenza ad estirpare per far posto a varietà nuove. 10 anni dopo aver iniziato l’attività agricola, Ilaria trova nella soffitta di casa sua un baule di legno, con dentro una grande quantità di documenti antichi scritti elegantemente a mano da suo prozio Ilario; questi documenti descrivono in maniera molto dettagliata, tanto da avere la valenza di veri e propri diari giornalieri delle attività agricole di conduzione, è grazie ad essi che Ilaria conosce l’esatta data di messa a dimora di ogni albero, cosa si coltivava ad inizio ‘900 nei suoi terreni, i prezzi delle derrate agricole, della manodopera e le tecniche di coltivazione ecc. … La cosa sorprendente è stata scoprire che il modo di appuntare e di organizzare i documenti che aveva suo prozio Ilario era molto simile al suo (segno del destino!). Tutto questo è stato per Ilaria fonte di ispirazione per continuare ad avere successo e perseveranza. In azienda lavorano due operai fissi, sono migranti e vengono dall’Africa arrivati in Italia con i barconi; hanno storie difficili alle spalle, non sono una minaccia per il nostro paese ma risorsa, Ilaria di questo è convinta perché crede nell’integrazione per una pacifica convivenza nel rispetto reciproco.
Quando l’ho chiamata, ho chiesto subito ad Ilaria se secondo lei questa parola fosse inventata da me … o se esiste, se l’ha mai sentita, se lei si definisce così, se la usa.
Ilaria si definisce “un’agricola”, non imprenditrice agricola né agricoltrice. Quando deve indicare qualche sua collega agricoltrice dice “lei conduce un’azienda agricola”. Non ha mai usato il termine agricoltrice, non l’ha mai sentito usare. Si fa chiamare semplicemente Ilaria nella sua azienda e con i suoi collaboratori, fuori dall’azienda in ambito lavorativo la chiamano “signora” oppure dottoressa.
“Viviamo in un Italia ancora maschilista, il settore agricolo è per antonomasia maschile nonostante la donna nella civiltà contadina rivestiva un ruolo forse ancora più importante. In Calabria poi di certo non è semplice essere prese sul serio in questo lavoro. E quando la gente capisce che il tuo lavoro lo sai fare bene, e lo fai con valore, usano un attributo maschile per complimentarsi, qualcosa del tipo “Lei ha le palle!”. Non possiamo avere attributi nostri… Solo quando davvero dimostri di avere un valore, allora si attenua il maschilismo. Devi lottare per farti rispettare.”
Ilaria mi racconta che nei primi anni del suo lavoro non avvertiva molto questa differenza di genere, anzi si sentiva coccolata e supportata, i suoi colleghi e tutti i professionisti del settore la aiutavano senza superiorità, proprio come se fosse un giovane uomo che iniziava a costruire la sua azienda. Pensava che gli altri avessero questo atteggiamento semplicemente perché era giovane, e non donna… Oggi mette in relazione quegli atteggiamenti col fatto che, essendo all’inizio della sua attività giovane e bella, venisse in qualche modo “assolta”. “Intravedo una sorta di istinto primordiale di sopravvivenza: di fronte ad una bella ragazza gli uomini non si sentono minacciati, forse subentrano altri istinti…. Poi quando le donne sono grandi, i modi di comunicare (e gli atteggiamenti) cambiano. Ora che ho una certa età non mi fanno sconti”.
A volte Ilaria ricorre all’aiuto di suo fratello, anche se quest’ultimo non si occupa di agricoltura: “Mando lui a concludere gli affari per non perdere tempo ed energie. Tra uomini si sentono più a loro agio. In gioventù per principio non l’avrei mai fatto, mi sarei infuriata, ma ora con la saggezza dell’esperienza penso che l’importante sia raggiungere un risultato”.
Nel frattempo Ilaria ha sviluppato nuovi metodi di vendita, forse più “femminili”: il creare una rete, cercare collaborazioni, comunicare ai clienti la bellezza celata nelle piante e nei frutti. Nella sua pagina facebook ad esempio racconta in modo simpatico, allegro e genuino il suo lavoro e la qualità del suo prodotto…
In sostanza Ilaria non ha mai sentito l’esigenza della parola agricoltrice, non si sente tale, pensa che questo termine sia riduttivo, che non includa la valenza ecologica del suo lavoro. Imprenditrice agricola le sembra ancora peggio: “Sembra di fare tutto per il profitto, e non è questo che mi ha smosso. Sento che agricoltrice e imprenditrice agricola sono state svuotate del loro valore e non fanno trasparire il fuoco e la passione c’è sotto la mia scelta”.

 

La storia di Antonella ed il suo “ dietro le quinte ”.

Lasciata la Calabria, decido di salire virtualmente un po’ più su, e parlo con Antonella, imprenditrice agricola campana.
Antonella è parte integrante della Famiglia Dell’Orto, tra i più grandi produttori di albicocche della Piana del Sele in provincia di Salerno. La sua famiglia da due generazioni si dedica con amore alla professione agricola gestendo e coltivando la terra di famiglia senza scendere alcun compromesso relativo alla qualità.
La storia tra Biorfarm ed Antonella è un pò diverso. Antonella è la prima agricoltrice ad entrare nella nostra famiglia nonchè la terza in ordine assoluto.
La famiglia Dell’Orto ha scritto nel nome il suo legame con la terra. Producono 15 varietà di albicocche e, in anni in cui tutti sceglievano la coltivazione in serra, hanno deciso di convertire l’intera azienda al biologico.
Le donne di famiglia, sono parte integrante dell’attività sebbene la gestione dei campi sia affidata al fratello Vincenzo, perito agronomo, che gestisce l’azienda con il cognato Tonino e il fratello Massimo.
Le donne della famiglia, Antonella e le sue sorelle , si occupano della fattoria didattica, l’agriturismo e della produzione di miele.
Antonella è considerata da tutto il team un pò la “mamma” di Biorfarm; I nostri valori sono da sempre I suoi valori e non è un caso se la consideriamo da sempre tra I migliori ambasciatori della nostra famiglia.

 

La parola agricoltrice non viene usata, non l’ho mai sentita. È lo stesso discorso di avvocato e avvocatessa, ingegnere e ingegnera, è tutto collegato ad un ambiente maschilista. La parola casalinga ha un’accezione positiva, sa di casa e di affetto, casalingo (come sostantivo maschile e non come aggettivo) invece non esiste. La discriminazione di genere c’è nel mondo dell’agricoltura, esiste una diffidenza verso la figura femminile “a comando” di un’azienda, anche se la donna è sempre stata molto presente in agricoltura, ma dietro le quinte. Il nostro è un ambiente prettamente maschile”.
Alla mia domanda “ma secondo te mi faccio problemi inutili riguardo la legittimità di questa parola?!?” Antonella risponde che il mio non è un ragionamento inutile, ma un pretesto per aprire i riflettori sul modo in cui la donna si propone, sempre più professionalmente valido. “Noi donne abbiamo tutte le capacità per fare la nostra parte a livello imprenditoriale e dirigenziale”.
Lei chiama le sue colleghe imprenditrici agricole, non contadine, non agricoltrici.
“Il termine ‘agricoltore’ raccoglie un universo tale di mansioni che forse al giorno d’oggi non può dare con completezza la definizione del ruolo: chi si occupa di agricoltura deve assolutamente essere un imprenditore. È proprio il vocabolo agricoltore ad essere sorpassato, “imprenditore agricolo” è più appropriato ai nostri tempi. Lo stesso discorso si può fare per la parola contadino, non la usiamo più, adesso ha un suono quasi offensivo, agricoltore è stato il suo superamento, così come imprenditore agricolo è il superamento odierno. Così è cambiato il vocabolario di pari passo al cambiamento di competenze e professionalità. Per fortuna la parola imprenditrice agricola esiste, forse perché è nata in un periodo recente, in cui le donne già prendevano piede a livello dirigenziale del settore. Riflettiamo su questo”.

 

Andiamo al Nord: la storia di Elisabetta.

Volevo poi anche un altro punto di vista. Il punto di vista di una donna giovane del Nord. Volevo capire se più su nello stivale, e soprattutto in una generazione diversa, le cose cambiassero. Mi rivolgo così ad Elisabetta, giovane agricoltrice piemontese, che non ha ancora compiuto i 30 anni.

In agricoltura l’elemento familiare gioca da sempre un ruolo fondamentale.
Per la famiglia Fraire non era così.
Roberto, infatti, nato e cresciuto in contesto agricolo, sulla collina di Barge ai piedi del Monviso, sceglie inizialmente un’attività diversa a Torino. Il richiama con il luogo dove è cresciuto però è troppo forte, così negli anni ’80 decide di tornare in Azienda.

 

Nel 2015, Elisabetta prende le redini dell’azienda di famiglia, un cambiamento radicale per questa torinese cresciuta tra i viali cittadini. Dopo aver ottenuto la laurea in Tecnologie Alimentari, decide di dare nuova linfa all’attività agricola, puntando su laboratori artigianali per trasformare la frutta in prelibate confetture e succhi. Recuperando la casa colonica, crea spazi per un agriturismo autentico. Oggi, i suoi progetti mirano a condividere la cultura contadina con i consumatori e i turisti, offrendo esperienze immersive nella vita rurale. A noi di Biorfarm, Elisabetta è sempre piaciuta, per le sue scelte che si basano su un percorso all’insegna della tradizione, ma con uno sguardo proiettato al futuro, ribaltando il corso della storia rispetto a suo padre Roberto, che aveva abbandonato la campagna per la città 25 anni prima.

 

Introdotto il tema della conversazione ad Elisabetta, mi dice subito che per il suo carattere e per il suo modo di vedere il discorso, non le importa se viene usata la forma femminile o maschile di questa parola, non è fondamentale per lei essere chiamata agricoltore o agricoltrice. Crede che non si celi dietro questo una forma di sessismo o discriminazione. Secondo lei non è una cosa indispensabile, non è l’essenza del problema.
“A livello umano essere donna in questo settore non fa una grande differenza sull’essere uomo, non mi sento discriminata perché donna. Anzi, essere una giovane donna che dirige un’azienda agricola è un plus, mi sento incentivata, sento che questo è una risorsa. A volte mi capita di essere scelta per alcuni progetti non solo per la qualità dei miei prodotti, ma proprio perché la mia azienda è sinonimo di cambiamento, innovazione, mobilità: tutte caratteristiche dei giovani. Essere donna e giovane per me è una carta vincente da giocare!!!!
La parola “agricoltrice” nel suo ambiente non si usa. Tra colleghi “non si chiamano in nessun modo”, nel senso che non usano i termini agricoltore o agricoltrice, né imprenditore o imprenditrice agricola. Semplicemente usano nome e cognome dell’interessato, o il nome dell’azienda agricola. Su Torino nota che viene molto usato il termine contadino (ma non contadina), con un’accezione estremamente positiva. Questa parola ha come “un tocco vintage”, valorizza il rapporto con la terra, la filiera corta, il ritorno al cibo sano e coltivato in piccola scala.

 

La nostra idea: usiamo la parola!

Alla fine del mio “viaggio linguistico” capisco che questa parola, la parola agricoltrice, in campo non si usa, mentre nel linguaggio comune è solo una novità, raramente utilizzata. Io, però, ho deciso di continuare ad usarla, così come uso molto la parola agricoltore rivolgendomi agli uomini che esercitano tale professione.
Non starò qui a sottolineare il ruolo fondamentale delle donne in agricoltura, né citerò dati, numeri, statistiche. Tanto è stato scritto su questo tema, tante sono le informazioni che si possono trovare a riguardo, incoraggianti o meno che siano. Non è questo il mio intento.
Qui voglio parlare di parole, anzi di una parola sola.
Riappropriamoci delle parole, dei nostri sostantivi femminili… usiamoli! Perché le parole sono importanti, le parole sono potenti.
E se le parole non esistono sul Treccani, beh allora inventiamocele!

 

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